Pagina:Bandello - Novelle. 2, 1853.djvu/119

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lo vuoi, io son presto a darloti molto volentieri, avvisandoti che ancora non ho scritto la somma del tuo pagamento, pensando che tu il devessi volere. Bene iersera acconciai la tua ragione. – Carlo sentendo questo disse che altrimenti non voleva l’avantaggio dei mille ducati, e che scrivesse pure come mille ducati d’oro pagati s’erano. Ringraziatolo poi de le sue offerte, da lui si partì e a casa se ne tornò. Quivi pensando e ripensando a la cortesia e liberalità del Salimbene ed investigando tra sè chi mosso l’avesse ad usar cotanta generosità, sapendo l’antica e crudel nemicizia che tra’ Salimbeni e Montanini con tanto spargimento di sangue era durata, non sapeva che cosa imaginarsi nè che si dire. Profondandosi poi senza fine nei pensieri e minutamente tutte l’azioni d’Anselmo essaminando, e conoscendo che non ci era merito nessuno dal canto suo verso lui, gli sovvenne che talvolta l’aveva veduto molto affettuosamente guardar con occhio amoroso Angelica, ed ogni fiata che la vedeva averle sempre cortesemente fatto onore e mostrati più segni d’animo amichevole che nemico. Onde tra sè avendo ogni cosa bene essaminata, conchiuse che per altra cosa Anselmo mosso non s’era a pagar i mille ducati se non per amor d’Angelica, perciò che quando questa dilettevol passione d’amore è abbracciata in un cor gentil e magnanimo, produce mirabili effetti di leggiadria, di cortesia e d’ogni bella e cara vertù. Fermatosi in questa openione, disse tra sè: – Poi che Anselmo Salimbene ha la vita mia che morta era, a mia sorella donata, convenevol cosa mi pare, se Angelica ed io vorremmo di tanto cortese e tanto importante dono esser tenuti grati, e riconoscenti del ricevuto beneficio che con danari pagar non si può, che noi altresì equivalente dono quanto per noi si può doniamo a lui. E qual presente fia condegno per agguagliar tanto merito quanto è il liberale e magnifico atto del cortesissimo Salimbene? Certamente egli conviene che così sia, che mia sorella ed io per schiavi volontarii a lui ci diamo e lo riconosciamo per nostro perpetuo signore. – Con questo pensiero e determinata fantasia se ne stette Carlo senza far palese l’animo suo a persona, fin che seppe Anselmo Salimbene, che come s’è detto era ito in villa, esser a Siena ritornato. Il giorno adunque medesimo che Anselmo ritornò, Carlo chiamata la sorella in camera, in tal guisa le cominciò favellando a dire: – Angelica mia carissima, io ti priego per quel sincerissimo e cordial amore che so che tu mi porti, che tu mi voglia con ogni attenzione ascoltare ciò che io ora ti dirò, e che tu pensi che io ci ho pensato e fatto lungo discorso sopra, prima che t’