Pagina:Bandello - Novelle. 2, 1853.djvu/240

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piacevolmente così le disse: – Che io qui venuto sia non vi deve, signora mia, parer strano con ciò sia che sapete quanto io v’amo e quante fiate v’ho supplicato che degnaste darmi la comodità di poter essere insieme con voi. Ora che io ci sono, non crediate che così di leggero con le mani piene di mosche mi voglia partire. So che voi venuta qui sète per amor d’altri e so che egli questa casa per tale effetto ha condutta. Egli è gentiluomo e ricco, e questo e vie più maggior bene merita; ma non farà egli già mai ch’io non v’ami e che con ogni mio potere non cerchi goder il vostro amore. E in questo non credo esser di lui men degno. Io pur qui sono, nè senza la grazia vostra intendo a modo alcuno partirmi. E nel vero io sarei ben pazzo se quello che tanto ho desiato, avendo a salva mano preso, scioccamente lasciassi fuggire. Sì che minor male è che voi di vostra voglia quello mi diate che negar non mi potete. E quanto più tardate, voi fate il peggio, perciò che fra questo mezzo potrebbe venir colui a cui nome qui venuta sète, e venendo, altro che scandalo non ne potrà riuscire. Egli è così possibile che io ancida lui come egli me. Oltra questo voi rimarreste in bocca del volgo vituperata ed infame ed in perpetua disgrazia di vostro marito. Di me non sa persona che io qui sia, e non si sapendo, che temete voi? E se pur si sapesse che io qui fossi, qual sarà così sciocco che pensi mai che io senza aver goduto questa vostra bellezza sia partito? Egli è pure nel vero una espressa pazzia a voler incorrere in infamia perpetua senza cagione. Il perchè, signora mia unica da me molto più amata che gli occhi miei proprii, non mi vogliate far più languire. Oramai devereste pur esser certa del mio amore, de la mia fede e de la mia perseveranza. Sapete pure quanto è che io v’onoro, v’amo e che vi riverisco. Sapete quante fiate v’ho supplicato che di me vi piacesse aver compassione. Ora che la fortuna ci presta il modo, noi perdiamo, chè tutti dui poi ce ne potremo pentire. – Dette queste parole, egli la volle basciare gettandole le braccia al collo. Ma ella tutta piena di sdegno, quanto più poteva lo ributtava e sospingeva da sè, piangendo e fieramente lamentandosi. Ora poi che Crisoforo gran pezza si fu pregandola affaticato ed ebbe con pazienza sopportato i fastidii de la donna, lasciato il pregare, con minaccevol voce e rigido viso le disse: – Io veggio ora chiaramente che voi bramate che tutto Milano sappia i fatti nostri i quali, poi che così volete, si saperanno. Io per viva forza quei piaceri di voi prendendo che più m’aggradiranno, obligo nessuno mai non ve ne averò, anzi