Pagina:Bandello - Novelle. 3, 1853.djvu/162

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pratica di Cinzia, essendone ogni dì con agre riprensioni da’ suoi ripigliato, ed il vescovo de la città, uomo di santa vita, avendolo più volte fatto pregare che omai finisse simil pratica, che oltra la offesa di Dio gli era di danno e disonore, gli parve che questa occasione fosse convenevol mezzo a mettersi in libertà, e si deliberò più tosto perder la conversazione di Cinzia che l’amicizia di Giulio. Onde a Cinzia scrisse una lettera di questo tenore: – «Cinzia, non pensare con la tua ingorda ed insaziabil libidine poter mai esser da tanto ch’io debbia abbandonar un gentiluomo, mio amico e più che fratello, tirato a forza da le tue false lusinghe e puttaneschi modi e da la sfrenata tua rabbia a giacersi teco. Io voglio ch’ei sia più mio che mai, e l’amerò e riverirò come strumento divino de la mia ricuperata libertà, conoscendo ora l’indegnità de la mia servitù. E qual io mi sia, non pensar più a’ casi miei, nè far più sopra di me per l’avenire alcun fondamento. Ora sei in tua libertà, e puoi di notte e di dì far venir a giacersi teco chiunque tu vuoi. Ed ancor ch’io potessi con giusta ragione grandemente dolermi e rammaricarmi di te, nol vo’ fare. Bastimi che a te mi toglio ed eternamente ti lascio, con pensata deliberazione mossa da certi e convenevoli rispetti». – Finita questa lettera, per un servidore a Cinzia la mandò. Ella, avuta che l’ebbe e con infinito dolore letta, di tal maniera per buono spazio restò stordita, che più tosto a statua di marmo che a donna viva rassembrava; poi ricordandosi de le parole de la balia, subito s’imaginò che quanto Camillo le scriveva tutto era per opera di quella, e che d’altri non intendeva se non di Giulio. E quello mandato a dimandare, tutta piena di lagrime e di sospiri l’attendeva che venisse. Andò a lei Giulio e, trovatola così di mala voglia, le domandò la cagione de la presente sua mala contentezza. Ella alora gli mostrò quanto Camillo scritto le aveva: Giulio da non pensata e grave ferita offeso, poi che buona pezza stette sovra di sè, celando più che poteva l’interna ed infinita pena che di questa calunnia sentiva, dopo alcuni ragionamenti, avendosi l’un l’altro detto ciò che la balia dinanzi separatamente aveva ragionato con loro, concorsero in questa openione, che ella fosse stata l’inventrice del tutto, e con sue favole avesse fatto credere a Camillo ciò che non era. Poi, con buone parole consolatala a la meglio che puotè, ed affermandole che la verità a la fine sarebbe conosciuta, da lei si partì ed andò a trovar un suo amico, che anco era molto domestico e familiare di Camillo, e si chiamava Delio. E quello trovato che alcune lettere scriveva, dopo l’usitate salutazioni gli disse: – Io so, Delio mio, che tu ti