Pagina:Bandello - Novelle. 3, 1853.djvu/265

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cortesia operando, diede al mondo essempio quanto in ogni grandissimo personaggio l’umanità e cortesia sempre sia lodevole e agli alti prencipi stia bene. Ma dei mille e mille memorabili atti d’esso Massimigliano Cesare, questo per aventura fu forse il minimo dei pertinenti a le azioni sue morali, secondo che il trombetta dei vostri onori, il già detto messer Filippo Baldo, narrò; il quale ovunque si ritrova, mai nè stracco nè sazio si vede di predicargli. Degnate adunque, invittissimo re, d’accettar questo picciolo dono che vi mando, non avendo per ora appo me altra cosa degna de l’altezza vostra. In questo faccio io come fece un pover uomo, il quale veggendo molti che gran doni davano al re Artaserse, non avendo egli altro che dare, corse al vicino fiume ed ambe le mani empì d’acqua ed al re allegramente l’appresentò. Il magnanimo re con lieto viso la pigliò, avendo risguardo a l’animo del donatore e non al vile e picciolo dono. Così i poveri che nostro signor Iddio non ponno d’incenso e di sabei odori onorare, con feste e verdi frondi i sacrosanti e venerandi di lui altari adornano. Feliciti Iddio tutti i vostri pensieri; ed inchinevolmente, a la vostra buona grazia raccomandandomi, con ogni riverenza vi bascio le reali mani.

Atto memorabile di Massimigliano Cesare che usó verso un povero contadino ne la Magna, essendo a la caccia.


Cose assai, oggi, amabilissime donne e voi cortesi giovini, dette si sono, tutte nel vero piacevoli e belle, e da le quali si può prender essempio al nostro vivere, facendo de gli altrui azioni profitto a noi stessi. Ma poi che volete che anco io ragioni ed alcuna cosa od utile o dilettevole vi dica, venendo io d’Alamagna per passar in Ispagna, imiterò i mercadanti che tornando di Soria recano de le cose di quel paese. Discoprirò adunque de le robe germaniche, dicendovi che assai sovente l’uomo, per non esser conosciuto e talora mal vestito, incappa in perigliosi accidenti e spesso in cose ridicole, come avvenne a Filopemone megalipolitano, duce degli achei e ne l’arte militare eccellentissimo. Deveva egli andare a Megara a cena a casa d’un suo amico, ed ancora che gente assai solesse seco condurre, pur quella volta tutto solo entrò in Megara e andò a l’albergo de l’amico, ove l’apparecchio grande si faceva. Il padrone non era in casa, e la moglie di quello attendeva a preparar il convito.