Questa pagina è ancora da trascrivere o è incompleta. |
non si partiva, piangendo sempre; di modo che il conte, che de l’onestá di quella aveva avuto qualche sospetto, venne in credenza d’aver la piú amorevole e pudica donna che a’ suoi tempi fosse. Ella, dolente oltra modo che il suo disegno non le era riuscito, né piú del veleno, come poi si seppe, potendo avere, e veggendo il conte male de la persona disposto, non volendo perder il tempo indarno ed avendo gettati gli occhi adosso ad un Antonio da Casalmaggiore, che era arciere del marito, di quello fieramente s’innamorò, e lasciati tutti gli altri innamoramenti, a questo solo dispose d’attendere. Era Antonio non molto grande di corpo, di pel rosso e gagliardo pur assai e di viso lieto e bello. Questo, di leggero de l’amore de la contessa avvedutosi, non ischifò punto la impresa, di modo che piú e piú volte in diversi luoghi e tempi si trovò a giacersi con lei amorosamente. Ora, usando meno che avvedutamente questa lor pratica, fu qualcuno di casa che ne avvertí il conte; il quale, aperti gli occhi e poste de le spie a torno a la moglie e a l’arciero, venne in chiara cognizione de la disonesta vita di quella. Stette in pensiero il conte di fargli ammazzare tutti dui e trargli in un chiassetto, ché mai piú non se ne sentisse né nuova né ambasciata. Ma per meglio chiarirsi del tutto e trovar la gallina col gallo su l’ovo, e poi far quanto piú a proposito gli fosse paruto, disse un dí a la moglie: – Contessa, a me conviene esser a Milano per parlar col signor duca, e penso che mi converrá star fuori piú che forse non credo. Averai buona cura de le cose di casa fin che io ritorno. – E chiamato il castellano, gli ordinò che a la contessa fosse ubidiente fin che da Milano fosse ritornato. Fatto poi la scielta di quelli che voleva che seco a Milano andassero, volle che Antonio da Casalemaggiore fosse di quelli che a la guardia de la ròcca, che aveva, restasse. Il che agli amanti fu di grandissima contentezza, sperando, in quel mezzo che il conte starebbe fuora di casa, aver il tempo e la comoditá a lor bell’agio di godersi insieme amorosamente quanto loro fosse piacciuto. Ma, come dice il proverbio, «una ne pensa il ghiotto e l’altra il tavernaro». Era del mese di maggio, nel principio. Ora il conte, fatto metter ad ordine il tutto, e di giá informato il suo castellano di quanto voleva che si facesse, un dí, dopo che si fu desinato, montò a cavallo e prese il camino verso Milano. Non era a pena il conte partito, che la contessa, chiamato a sé il suo amante, gli disse: – Anima mia, noi averemo pur ora la piú bella comoditá del mondo di poter esser insieme senza rispetto, e di notte e di giorno. Il conte, come vedi, è partito, e a la presenza mia ha comandato al castellano che, fin