Pagina:Bandello - Novelle. 4, 1853.djvu/284

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che mai fosse sotto le stelle mi è pure avenuto e mi ha da una indicibile felicità fatto tombare in una estrema e perpetua miseria, chè, credendomi io guadagnarvi, miseramente vi ho perduta, e sperandovi lungamente vedere viva e godere insieme questa nostra vita con onesto piacere e perfetta contentezza, io ora vi tengo ne le mie braccia morta, e disperato di più vivere e mal sodisfatto del mio core e de la mia loquace lingua. Ahi, lingua, che tanto tempo hai taciuto e sei stata segreta, fedele e leale! come a l’ultimo sei diventata ciarlatrice, varia, incostante, disleale e perfida? Ma io non debbio dolermi di altri che di me. Io quello sono che debbio essere appellato perfido, ingrato, disleale, traditore, malvagio e il più infedele che trovare si possa. Io volentieri vorrei querelarmi del duca su la promessa di cui mi confidai, sperando di vivere con più sicurezza e godere più pacificamente gli amori miei. Ma io, sfortunatissimo, deveva bene pensare che uno tanto importante segreto quanto era il mio, nessuno meglio di me devea guardarlo. Il duca ha molto più ragione dire i segreti suoi a sua moglie, che non avea io di rivelare quelli de la mia consorte. Adunque non mi conviene lamentare di nessuno se non di me stesso, che ho perpetrata la maggior e più nefanda sceleraggine che imaginar si possa. Io devea più tosto soffrire ogni tormento e mille morti non che l’esilio, che mai aprire la bocca a dire quello che vietato mi era di far palese. Almeno la mia amabilissima signora sarebbe restata in vita e io gloriosamente morto, avendo costantemente servati li patti che erano tra noi. Ella pure averebbe chiaramente conosciuto quanto io l’avessi perfettamente amata. Ma avendo contrafatto al suo volere io mi trovo vivo, ed ella per amare perfettamente, da insopportabile dolore accorata, è morta. Aimè, unica signora mia! questo è avenuto perchè il core vostro netto e puro non ha saputo come soffrire il vizio del vostro mal leale amico, onde avete eletta più tosto la morte che la vita. Aimè, perchè sono stato così leggero di cervello e tanto ignorante? Ahi cor mio ingrato! perchè non ti schiantasti, quando io apersi la bocca a rivelare il segreto che celato essere devea? Il picciolo cagnuolo merita essermi preferito, perchè più di me fedelmente egli ha la sua padrona amato. Ahi, mio caro cane, la indicibile gioia, che il tuo abbaiare sì dolcemente mi apportava, mi si è convertita, lasso me! in mortale e amarissima tristezza, dapoi che per la lingua mia altri che noi dui ha inteso ciò che la tua voce significava. Sappia pure la mia incomparabile consorte, ovunque ella ora si trovi, che amore di duchessa,