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Il Bandello al magnifico ed eccellente


dottore de le cesaree leggi e pontificie


messer Gian Pietro Usperto salute


Sono mille anni che nè voi mi scrivete cosa veruna, nè di voi ho avuto novelle, se non quando ultimamente fuste, già giorni e mesi molti passano, a Parigi, ove mi scriveste una vostra umanissima e amorevolissima epistola, a la quale io subito feci risposta. Dapoi, avendo inteso voi essere ritornato a Fano, a la cura di quello vescovato, per commissione del riverendissimo vostro cardinale, non vi ho più scritto, non mi essendo occorso occasione alcuna. Ma non è già che molte volte e bene spesso non abbia ragionato di noi, di quello modo che a la nostra vera amicizia si richiede e come conviene a le vostre singolari e rare doti. Voi non solamente iureconsulto consumato sète, ma avete a le umane leggi aggiunte le buone e recondite latine e greche lettere, di modo che, o scriviate in prosa o vero con le muse cantiate, in l’una e l’altra facultà mostrate chiaramente quanto sia il candore del vostro felicissimo ingegno, come ne le prose e versi vostri leggiadramente appare. Ora, per dirvi la cagione che mi move a scrivervi, vi dico che questi giorni venne qui uno mercatante genovese, messer Gioanni Rovereto, che dimora in Lione; il quale a madama nostra e a tutti noi altri narrò una mal pensata malizia de uno mercatante drappieri di Lione, che, volendo ingannare altrui, restò egli parimente il beffato e ingannato, come ne la novella che vi mando vederete, perciò che al vertuoso vostro nome la ho intitolata. Essa novella ci empì tutti di stupore e meraviglia, veggendo pure essere vero ciò che communemente si suole dire da molti: che questo mondo è una piacevole gabbia piena di diversi pazzi, che quando il capriccio entra loro in capo e si