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LETTERA TRENTOTTESIMA

di Gironimo Balbi alla contessa di Brandizzo

[L a invita piacevolmente a recarsi a Genova.]

In sostanza, contessa nostra, i due passati giorni sono stati tutt’a due lunghi lunghi nell’opinione della mia consorte; e quest’altri quattro, nell’opinione mia, saranno lunghissimi lunghissimi. Nondimeno l’uno e l’altra ci confortiamo pensando al proverbio del tempo «che fugge e non s’arresta mai». Anche quest’altri quattro passeranno alla fila l’uno dietro l’altro, e voi lascerete quindi quell’ Alessandria b), tanto poco somigliante all’altra che il gran macedone fece in diebus illis fabbricare da Dinocrate in Egitto, e ve ne verrete a questa metropoli della Liguria, che l’anno scorso que’ ladri di que’ tedeschi ( 2 ) sentenziarono crudelmente alla galera, e poi s’ebbero di grazia l’andarsene alle mille forche essi medesimi col loro paffuto maresciallo. — Scommetto — dice la prefata consorte, — scommetto una libbra di cioccolata spagnuola che madama sta di presente affaccendandosi coll’ inventario delle cose requisite al suo imminente viaggio. — Non ve n’ha dubbio, — rispondo io. — L’ora della partenza non la corrá senza che s’abbia poste in molto buon ordine le spille, i nastri, le cartucce, le scatolette, gl’involtini e le tant’altre cianfrusaglie indispensabili ad una viaggiatrice che s’acconcia ad una giornata d’una tanta lunghezza. Replica della moglie: — D’una tanta lunghezza? Tu burli. — (1) Cittá appartenente al re di Sardegna, poche miglia distante dallo Stato genovese. (2) Allude alla rotta data dal popolo di Genova all’esercito capitanato dal maresciallo Botta nel 1746.