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LETTERA QUARANTUNESIMA

di don Luigi Gonzaga principe di Castiglione

AL CARDINALE ANGIOLO QUIRINI [Quale sorta di fatti e di aneddoti, che soglion chiamarsi in oggi col vezzoso vocabolo francese d’«interessanti», possan narrarsi della puerizia di Galileo da qualche massiccio erudito, che cerchi in essa con filosofica sottigliezza gl’indizi della gloria futura.] Io sono lieto lietissimo, signor cardinale, nel sentire dal nostro matematico Boscovich (0 come 1’ Eminenza Vostra, malgrado le sue tante faccende ecclesiastiche e politiche, siesi posta alla magnanima intrapresa di comporre le vite di que’ sommi filosofanti, che in questi due secoli passati fiorirono, come si suole metaforicamente dire, in varie parti dell’Europa, e che v’abbiate anzi giá abbozzate quelle dell’olandese Ugenio, del francese Cartesio e del nostro italiano Torricelli. Un’opera di questa fatta non potrá se non rendere di piú in piú luminosa e sfavillante quella gloria che Vostra Eminenza giá s’è acquistata nella repubblica delle lettere con quelle varie scritture, che a buona ragione vi hanno meritate le unanime lodi dell’Arcadia romana e di tant’altre nostre celebri accademie, dalle quali tante nuove sorgenti di lodi sgorgano tuttora e scaturiscono, a vantaggio e benefizio comune di tutta la nostra contrada. Lo accoppiare adesso i miei grami elogi a que’ tanti che v’avete giá riscossi da ogni banda mi sarebbe certamente attribuito a tracotanza piuttosto che ad affetto o a rispetto; sicché, senza diffondermi altramente in un panegirico di cui non avete punto di mestiero, meglio fia, eminentissimo signore, m’attenga a quel detto, dal quale siamo avvertiti che dove sfolgora un lume grande il lume piccolo non ci ha che fare. E perciò mi restrignerò a satisfare il vostro (i) Probabilmente il gesuita conosciutissimo per tutto l’orbe letterario.