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LETTERA QUARANTASEIESIMA

di Giambattista Rodella a Celestino Astori

[Notizie varie, specialmente d’un cavalier Tommaso.]

Il barlotto è venuto a salvamento, ma il vino di Siracusa che v’era dentro se n’è ito a goccia a goccia per le fessure. Disgrazia maladetta! Eppure un soldo di pece e un quattrino d’attenzione s’avrebbono salvati cento ducati di brindisi, che v’avrei fatti con questi miei marsigliesi! Ma la piú parte di voi altri letterati maiuscoli siete propio tanti disutillacci ogniqualvolta si tratta d’alcuna cosa che non sia letteratura. Ho però pagato il nolo al capitano della nave, perché mi ha ocularmente convinto non essere stata sua colpa se tanta bevanda non si bebbe; e m’ha consolato di questa mala spesa il pensiero vendicativo che a voi anche piú che non a me dorrá la perdita del regalo che intendevate farmi; sicché adoperate in modo ve ne doglia, onde non mi guastiate il conto che ho fatto. Prima che il capitano riparta, gli consegnerò le cose che mi chiedete. Il poveraccio giunse qui malato come un cane, sicché gli fu tosto bisogno del medico, del chirurgo e dello speziale ad un tratto, senza contar jne che gli dovetti fare da interprete. Ora però sta giá si bene che mi lusingo d’averlo presto a pranzo meco e di farvi un brindisi o due con esso, a dispetto delle fessure male impeciate di quello sventurato barlotto. Sará un mese che sono partiti di qui per tornarsene in patria due fratelli, vostri amici e paesani, il cognome de’ quali non vuole adesso venirmi nella memoria. La vostra Messina mi piacerebbe piú che non mi piace, se avesse copia d’uomini com’essi. Basta dirvi come al piú giovane de’ due, quantunque non mostri al bel viso d’avere piú di vent’anni, nessuno in tutta