Pagina:Baretti - La scelta delle lettere familiari, 1912 - BEIC 1749851.djvu/234

Da Wikisource.

LETTERA PRIMA

di don Remigio Fuentes a Baldasarre Oltrocchi

[Del vetro e dell’arte vetraria; del mosaico.]

Signor Baldasarre Oltrocchi mio signore, l’argomento del vetro è un argomento assai grande, e meglio si converrebbe ad un libro che non ad una lettera. Nulladimeno, per ubbidire al suo comandamento, gnene dirò alcuna cosa coll’aiuto del nostro gentiluomo Bastian Molino; il quale, com’Ella ben sa, è molto diligente cercatore di cose remote, non meno che molto attivo studiatore, ma, come quasi tutte queste nostre Eccellenze viniziane, molto imbrogliato e molto inetto sempre che si reca la penna in mano. Vegniamo a noi. Che il vetro sia d’antichissima data lo testimonia il libro di Giobbe, laddove, parlando della sapienza, dice che «l’oro e il vetro non se le agguaglieranno». E come sarebbe il vetro stato ignoto ai primi uomini, se tosto che si feciono a cuocere de’ tegami e delle pentole, o de’ mattoni e de’ tegoli, debbono aver veduta la superficie de’ piú riarsi conversa in vetro? Certamente che molti secoli prima dell’èra volgare il vetro fu comunissimo per tutto l’Oriente; lo che si potria di facile provare con una moltitudine di testi. Messer Ippocrate in alcune righe che scrive all’amico Cratere gli dice che i medicamenti fluidi glieli trasmetta in vasi di vetro: dalle quali parole si comprende come il vetro s’usava nell’ isoletta di Coo, patria di quello insigne protomedico. Aristotele ha pure due problemi sul vetro, nel primo de’ quali si divincola a cercar la ragione perché gli oggetti si veggano attraverso d’esso, e nel secondo perché non sia malleabile.