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LETTERA SECONDA

di Pierpaolo Celesia a Gioseffo Benci venni Pelli

Come ogni lettera d’un amico lontano rallegra, conforta, vivifica!] Voi avete bel dire, ma v’avete il torto, e ogni vostra sillaba è perduta meco non meno che l’argento vivo quando un gran fuoco di sottovia lo fa dileguare per aria. Se foste loico dieci volte piú della loica, non mi mutereste d’un pelo, tanto sono risoluto nell’opinione che l’infingardia genera infingardia, come rogna la rogna e pidocchi il pidocchio. Ad uno, che scrive come voi le migliaia e migliaia di pagine in un anno, riuscirá sempre facile lo scriverne dell’altre migliaia; ma riuscirá diffícile diffícilissimo lo scriverne quattro sole, a chi s’ ha perduto nell’ infingardia l’uso e l’appetito dello scrivere. Dunque non ve la meno buona che non mi scriviate perché v’avete troppo a scrivere. Lo so anch’ io che i giorni di posta non ci avete rimedio, e che v’è duopo menar la penna ex officio dallo spuntar dell’alba sino a notte chiusa. Ma forse che le settimane non s’hanno se non giorni di posta? Non potrestimi scrivere la domenica o il lunedi le quattro pagine, da porsi poi alla posta il martedí sera? e il mercoledí o il venerdí le altre quattro, che partirebbono la notte del giovedí o del sabbato? Passando al vostro secondo punto, v’er’egli veramente una grande necessitá di tanto rabbuffare un uom dabbene per l’unica ragione che talora sconcia un poco i suoi amici? E in che li sconcia, puoffar il cielo! In chieder loro come se la facciano, e come lieti se la vivano, e simili novelle. E voi gliela recate a peccato? e ne lo sgridate? Oh, coso tanto senza viscere! E non sapete voi come ogni lettera d’un amico lontano rallegri, conforti, vivifichi? Mi fareste quasi ricordare quella schizzinosa, che menò un tratto una santa ceffata ad un poeta per la giustissima ragione che le aveva scritto un sonetto in lode. Ve’ bel