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28 | lettera quinta |
di rattristarti a tua posta. Affé, s’io fossi ne’ tuoi piedi, io correrei ad esse, né me n’allontanerei più, se mi tirassero cannonate, almeno per questi due mesi avvenire!
Della vita ch’io meno qui col mio dotto e garbatissimo conte Imbonati, non è possibile dirti la piacevolezza. Egli, come tu sai, ha una moglie, o dama, come si dice qui, la quale s’è occupata dalla sua prima giovanezza nella lettura de’ nostri più bravi storici, de’ nostri meglio filosofi morali, e de’ nostri più squisiti poeti. Oltre ad un bambino assai vivace, ella ha sette figliuole più che mediocremente belle; e le tre prime, che cominciano ad essere grandotte, già sanno tanto di musica e di versi e di belle creanze, quanto bisogna e fors’anco più, considerando che la maggiore non ha peranco tocchi i sedici anni.
Oltre all’amabilissima famiglia, abbiamo pure un don Remigio Fuentes, un dottor Bicetti, un Domenico Balestrieri, un Carlantonio Tanzi, un Giancarlo Passeroni e alcuni altri signori e galantuomini di Milano, tutti pieni di lettere e di poesia e di giocondezza fino all’orlo. La casa del conte è tanto grande che contiene più di trenta letti da padrone, posta sul ciglio d’un colle de’ più vaghi che si trovino in questa regione di Brianza, che per amenità vince anco le più belle parti dell’alto Monferrato, poiché da sito a sito non le mancano le sue belle piantate d’aranci e di limoni e d’altri agrumi, che noi non abbiamo nelle nostre colline. Pensa tu la dolce vita che si mena in un luogo si delizioso, in una brigatella si piacevole! Se tutto l’anno fosse autunno e se vi ci si avesse a stare tutto l’anno, sarebbe cosa da scordarci che siam mortali. Canti, suoni, poesie, cibi scelti, vini grati, e passeggiatene e risa e giuochi, dal cantar del gallo fino a notte chiusa, si sieguono alternamente. Gl’inglesi, i francesi, gli austriaci, i prussiani, i moscoviti battaglino e si distruggano a voglia loro: a noi non importa un fil di paglia, che vogliamo sollazzarci a più non posso.
Ma già i compagni mi sgridano di questo mio tanto scarabocchiare e il Tanzi mi picchia all’uscio; sicché m’è forza togliermi a te, ch’io voglia o ch’io non voglia. Fa’ di cacciare la tristezza dietro all’esempio del tuo primogenito, e addio.