Pagina:Baretti - La scelta delle lettere familiari, 1912 - BEIC 1749851.djvu/336

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coll’esempio, lo studio d’ogni sorta di lettere e la coltura della lor lingua in particolare, saputa allora molto bene da essi stessi e da’ barbassori primari del loro Stato, anzi pure da molti individui della medesima plebe. Se que’ primi Medici s’avessero avuti de’ successori degni d’essi, e se la buona sorte dell’Italia s’avesse poi anco voluto ampliare il loro dominio in modo da poter formare nel palagio Pitti una corte numerosa, splendida e possente, non v’ ha punto di dubbio che la lingua toscana sarebbesi rinforzata di molto coll’allargarsi ogni di piú, e sarebbe stata di inano in mano dotata di tutte quelle parti che rendono le lingue belle e grandi e vigorose ed atte ad ogni cosa. Ma che? I signori Medici non soltanto non ampliarono il loro dominio e rimasersi piccini, a considerarli come capi di una lingua, ma degenerarono eziandio assai da quella magnanimitá che s’avevano un tempo i Cosimi e i Lorenzi, né si curarono troppo di prose, di poesie o d’altri tali rompicapi. E la conseguenza fu che la lingua loro andò poco a poco perdendo della sua nativa bellezza e peggiorando quasimente a vista d’occhio; e, per conseguenza di conseguenza, il parlare domestico o quotidiano di tutto il loro paese calò al basso di di in di, perdendo sempre piú di quella sua indole antica tanto vegeta e tanto sana, ed ammorbandosi ad ora ad ora con mille mascalcie di voci e di frasi ghiribizzose o nate in terra straniera, e portate ne’ loro scritti, egualmente che nel loro conversare, da un numero non piccolo di donzellacci stolti e privi poco meno che di tutto il loro lume naturale; tanto che, collo scomunicato aiuto del brutto vezzo, introdottosi per tutta Italia verso la fine del sedicesimo secolo, di parlare alla «Signoria» dell’uomo, anzi che di starsi saldi al suo «tu», o almeno al «voi», la lingua toscana, un tempo rigogliosa d’un’aurea semplicitá, che serviva di fondamento principale a moltissime sue bellezze, venne alla fin fine a tombolare lunga e distesa nel melenso e nello scempiato, in guisa tale che il conversar comune di Firenze mi riesce al di d’oggi d’una snervatezza, d’un dolciato, d’ un floscio tanto miserabile, da vergognarsene un popolo d’eunuchi, se ve n’avesse uno. Aimè, signor Niccolò! Tendete gli orecchi, ogniqualvolta vi trovate in G. Baretti, Scelta di lettere familiari. 22