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Pagina:Baretti - La scelta delle lettere familiari, 1912 - BEIC 1749851.djvu/375

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d’Oriente. Venne un circonciso, che portava un gran paio di mustacchi: Sultano era il suo nome. Diciamola ad un tratto. L’impero d’Oriente era come una botte piena di commercio sino all’orlo. — Io non vo’ commercio, — disse il circonciso, — se non di lanciate e di sciabolate. — E, dato un calcio alla botte, addio fave! — Anche queste sono storie muffate per la vecchiaia, e tu me le ripeti qui in un modo cosi matto, che neanco Orlando quando s’ebbe letto l’epigramma. — Zitto dunque, ché metterommi in sul serio. Molto dopo i tempi del giá detto Bucefalo, certi popoli, che chiamano di Vinegia e di Genova, a gara co’ fiamminghi e colle cittá anseatiche, s’incaparono, quale un po’ piú tardi e quale un po’ piú tosto, di fare quella cosa chiamata il «commercio». — Poh! Tu dái ora nell’altro estremo, e cominci con una gravitá di parole, come se t’avessi a comporre un secondo Panegirico a Traiano. — Zitto, non m’ interrompere, ché te la sbrigo tosto. Del commercio anseatico e fiammingo non se ne fa piú fiato da un pezzo; e se quello de’ viniziani e de’ genovesi s’ha tuttora la tenue esistenza che s’ha; anzi pure, se non son iti in fumo essi stessi, come giá i cartaginesi e i romani, n’appendano il voto a quel tempio, che i barbassori dell’Europa s’hanno eretto tutti d’accordo a quella dea, che chiamasi «Gelosia mutua» e che il Ripa s’è scordato di porre fra le sue immagini. Senza l’ausilio di quella dea, sarebb’altro che commercio! E vorrestú che colle cronache alla mano io ti dicessi pure de’ fiorentini, de’ pisani e de’ ragusei e de’ danzichesi e di tant’altri popoli mosciolini, che un tempo s’ebbono anch’essi a menadito l’alfabeto del commercio? Poverelli! Quanto meglio s’avrebbon fatto, se si fossono stati sodi a coltivare negli orti loro i fagioli e le zucche e le cipolle! Almeno i di di magro s’avrebbono avuto di che stivarsi lo Stefano bene. — Ma piano un poco con questa sbarbazzata al commercio! E’v’è un isola di lá da Calesso, la quale, non per l’interna sua forza, ma per la sola virtú di quello, s’ebbe, non ha una