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LETTERA DECIMA

di Iacopo Taruffi a Filippo Betti

[Mediante un ritratto burlesco d’ Anassimandro, si pone in beffa un erudito.]

Se non volete che baie, baie sieno fin posdomane; ed ecco che, per farmi da capo, vi voglio dire d’ Anassimandro, ch’io non so chi si fosse, né quando venisse al mondo, né dove si passasse la vita, né dove ordinasse d’esser sepolto dopo che fu morto. Dal suo nome lungo e solenne io non posso trarre altra congettura se non che fosse un uomo alquanto bizzarraccio e soprammodo nimico di facezie. Forse ch’egli era senatore di Corinto, se non d’ Atene o di Sparta, o forse che fu ne’ suoi primi anni licenziato nell’ universitá di Salamanca. In quanto a me, io l’ho per fermo ch’egli dovett’ essere piú alto di statura che non la piú lunga labarda d’uno svizzero, e che dovette avere il capo assai grande, la faccia pallida ed asciutta, il naso aquilino e soprossuto, spalle un po’ curve, petto rilevato, pancia in fuori, gambe sottili e piedi larghi e stiacciati. Il suo vestire dovett’essere una zimarra foderata di zibellini o una toga di saia bruna, e col suo strascico dreto. Del collare che portava non ve ne posso dire la misura esatta: è però credibile che un foglio tratto da un libro d’architettura o da un atlante geografico, tagliato in due per lo lungo, se gli potesse comparare senza che il paragone sembrasse esagerato di troppo. Rispetto alla gravitá che professò costantemente, io sono certo che non fu poca. Voi, signor Filippo, che in fatto di gravitá pretendete dar il gambetto a ciascheduno; voi, che siete un composto, un complesso, un miscuglio di gravitá, anzi il simbolo o il prototipo o l’anagramma di quella; anzi un fiume, un lago, un mare di gravitá; voi, dico, non siete punto da porre a confronto di quell’Anassimandro. La vostra importanza Importantissima,