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Pagina:Baretti - La scelta delle lettere familiari, 1912 - BEIC 1749851.djvu/61

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LETTERA QUATTORDICESIMA

di Giannantonio Battarra all’archiatro Giovanni Bianchi

[Vantaggi che si traggono dall’esser dipinto presso una donna piú brutto assai di quel che non si sia.] Sono tre di che siamo in Foligno (ò, e diciotto ce li passammo in Macerata, non vi dirò come gaudiosamente, perché non voglio dire quello che non si può dire. Colá mi stetti nove di col signor Pirro Aurispa, non potendo far di meno, tanto m’aveva legato stretto colle catene della sua cortesia; ma, giunti qui, gli scappai un tratto dalle mani e me ne venni dal nostro canonico Gargano, ché non è giustizia per l’amico nuovo lasciare il vecchio. Io ti ringrazio, Giano Planco, del tuo avere scritto alla contessa Aurelia ch’io era brutto, anzi uno de’ piú brutti cosi che si potessono vedere. Quando la contessa s’ebbe letta quella tua lettera, si formò in mente un’idea d’un uomo che s’avesse un grugno cosi tra l’orso e il babbuino, e s’rspettava d’aver a morire della paura vedendomi. Trovando però al mio affacciarmele questo mio mostaccio diverso da quel grugno che se l’era fitto nell’idea, non si può dire come si maravigliasse quando fui a farle la mia prima riverenza! Volete altro, messer Giano, che, dopo d’avermi guatato molto a suo agio, mi dichiarò coram il marito, coram le figliuole, coram la quarta o la quinta parte de’ signori e delle dame di Foligno, un coso bellissimo, un coso degnissimo d’essere visto e veduto da chiunque, non senza pericolo di far fiaccare il collo alla mia verecondia! Béccati questa, Giano calunniatore, che durante questi quarant’anni passati m’hai chiamato brutto! La contessa m’ha (i) Foligno, cittá appartenente al papa, egualmente che Macerata.