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II


Al conte

DEMETRIO MOCENIGO PRIMO

IL BARETTI


L’umanità e la piacevolezza della vostra conversazione è tanta e tale, stimatissimo signor conte, che io benedico propio l’ora che io ebbi l’onore di essere ascritto nel numero di quelli che familiarmente ne godono; e se ho a dir vero, gli era un pezzo che non m’era venuto alle mani un cavaliere il quale, come voi, accoppiasse ricchezze e nobiltà ad amore di buoni studi ed a sommissima dolcezza di costumi; la quale cosa è tanto più da ammirare in voi, poiché sí giovane siete e perché in cosí verdi anni trovar non si suole agevolmente chi cammini per l’onorata via per la quale voi camminate. Ma lasciamo andare queste veritá, imperciocché io so che voi non vi compiacete troppo delle lodi, quantunque meritamente vi sieno date. E giacché io mi sento oggi l’umore di scarabocchiare quattro facciate, mi è venuto in pensiero di trattenermi alquanto a favellar colla penna con esso voi di alcune cose di poesia, delle quali già insieme con parole piú d’una fiata parlammo. Sono pochi giorni passati che essendo io a solo a solo con voi, e penso che ve ne ricorderete, il discorso nostro cadde sopra il grande numero di autori italiani e francesi, i quali gli uni degli altri scrivendo e giudicando, male hanno scritto e peggio hanno giudicato delle loro rispettive opere d’ingegno. — — Ella è una cosa troppo stomachevole — — dicevate voi — — il leggere tanti stravaganti e falsi giudizi dati da tanti scrittori francesi dei