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isfogo di malumore, e tutti ci avevano lavorato intorno, aggiungendo, sottraendo, lisciando, adattando. S’era formata come i diacciuoli, sospesi alle gronde dei tetti, quando una goccia d’acqua si rappiglia, un’altra la segue, e via via di goccia in goccia si forma il candelotto; poi l’aria ci si trastulla dattorno, accarezzando, operando di ricamo, di filettatura, di traforo, di cesello e di sbalzo, questo ottenendo coi caldi e quello coi freddi, secondo i capricci e i bisogni, come farebbe un orefice.
Or dunque, ecco qua: il ballerino aveva dovuto conquistare la sua dama, seguendola pazientemente qua e là per le sale, e finalmente strapparla reluttante dal braccio dell’indiano; dopo averla conquistata, non era riescito a farla parlare che in grazia di una lode accortamente data all’indiano, da lei subito battezzato, con insolita energia d’accento, il cavalier senza macchia e senza paura. Ma il valzer era finito, e la dama, che aveva data la posta al suo Baiardo dai baffi grigi, era corsa a cercarlo, a riprendere il suo