![]() |
Questa pagina è ancora da trascrivere o è incompleta. | ![]() |
Un fremito corse per tutta l'adunanza; che sebbene da lunga mano
preveduto, non riusciva meno grave l'annunzio. C'era anzi taluno dei
soliti ragionatori alla grossa, che dalle antecedenti lentezze e
continue ambascerie genovesi aveva argomentato la poca voglia di
venire a mezza spada e tratto speranza pel Finaro d'una via di
salvezza. Non così Barnaba Adorno, che ben conosceva l'animo dei
Fregosi e la tenacità con cui avrebbero proseguito i loro disegni.
Costoro inoltre, non che a colpir Galeotto miravano a molestare in
quel suo rifugio la sbandeggiata famiglia Adorno, e lui più di tutti,
lui Barnaba, che pochi mesi addietro Giano Fregoso, improvvisamente
sbarcato a Genova e con un pugno di suoi partigiani impadronitosi del
palazzo ducale, aveva scacciato dal governo e dai confini della
repubblica.
Queste cose pensando, Barnaba Adorno aveva sempre creduto alla guerra, e pur dianzi non gli era stato mestieri delle parole di Galeotto per averne certezza, bastandogli il noto aspetto del messaggiero di Genova. Però, quando il marchese ebbe accennato il cartello di sfida a lui mandato dal Doge, egli, con ironico piglio, soggiunse:
— E Giano Fregoso non lo manda per mano d'un semplice cavaliere, bensì
a dirittura per quella di Pietro Fregoso, suo comandante d'esercito. —
Messer Pietro si volse stizzito e saettò d'una torva occhiata il nemico.
— Non ancora; — diss'egli di rimando; — e voi, messer Barnaba Adorno,
usurpate, a mio credere, i diritti del marchese Galeotto. Io non sarò capitano dell'esercito genovese all'impresa del Finaro, se non quando egli avrà accettata la sfida.