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conto solamente al nemico,
inferiore di tanto per numero e stremato di forze. Raccontano inoltre
della disfida che mandò Giacomo, figliuolo di Oddonino del Carretto, a
Nicolò e ad Antonio Fregoso; rifiutata la quale, con un pugno di
cavalieri fece una scorreria fin sotto le mura di Castelfranco.
Narrano di una zuffa che avvenne sopra l'ospedale di San Biagio,
proprio daccanto alle mura del Borgo, delle prodezze che vi operò
Giovanni Sanseverino e di quelle d'un cavalier francese che sostenne
da solo l'impeto di cinque nemici; uno ne uccise, gli altri ferì, ed
egli poi appiedato ebbe tronche le gambe da un colpo di colubrina.
Aggiungono che i genovesi, nel fare un'altra bastita, dovettero per un
giorno intiero far fronte ai ripetuti assalti della gente assediata, e
in quella occasione Gianni Fontaine, detto l'Abate, ebbe il fratello
malamente ferito e sepolto ancor vivo dai genovesi; la qual cosa
proverebbe invero una fretta soverchia e niente affatto lodevole, ma
altresì la buona intenzione dei genovesi e il costume che avevano di
rendere gli estremi onori ai caduti.
Raccontano.... Insomma, io non mi fermerò a pigliar nota di tutto. Metterò in sodo che si pugnò lungamente e valorosamente da ambe le parti; cosa che torna ad onore del buon nome italiano, dappoichè finarini e genovesi, monferrini, lombardi, napoletani e quant'altri combattevano, alleati, o assoldati, nei due campi del Finaro e di Genova, erano tutti figliuoli d'una medesima patria.
E l'assedio intanto durava; nè ciò solamente per la singolare asprezza dei luoghi e per la inaudita tenacità della difesa, ma eziandio per la instabilità degli