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Gli era venuto sulle prime il ghiribizzo di attaccare il Maso alla sua guerresca persona; ma ricordò saviamente di essere tavolaccino e non capolancia, e, data licenza al ragazzo, gli disse: va, accònciati con qualche pezzo grosso e sii soldato fedele! Voleva anche dargli lo scapellotto d’uso; ma questa maniera d’essere armato cavaliere non facea comodo al Maso, che fu pronto a sbiettare.
Ed era andato, come gli raccomandava il padrone; e al tempo in cui lo ritroviamo, era paggio, cioè a dire governava il cavallo di messer Antonello da Montefalco, capitano dei finarini dopo la partenza di Francesco del Carretto, il quale, come sanno i lettori, aveva imitato il corvo dell’Arca.
A’ servigi di quel provato uomo di guerra, il nostro Masuccio, se ancora non aveva fatto prodezze, certo ne avea vedute e di molte. Esse per altro non aveano tolto che i genovesi piantassero bastite per ogni dove, a Gottafrigia, al poggio della Croce, che è presso Gorra, sul dorso di Pian Marino, sulle alture di Melogno, a Orco, a Collamonica presso Feglino, nel luogo di Corsi dirimpetto a Carbuta, facendo per tal guisa alla terra assediata una corona di torri. In questo frattempo il Maso aveva combattuto due volte a Rialto e aiutato alla presa di Santino da Riva e di sessanta cavalieri, che sotto il suo comando s’erano avventurati fin là.
Più tardi, essendo stretto da vicino il Borgo, avea combattuto a Pertica e risicato di andar prigioniero, insieme col suo capolancia, con Geronimo Doria, Spinetta del Carretto e il cavaliere Scalabrino. Il colpo era fatto da una imboscata di pochi genovesi, e per fermo riusciva, se le donne del Finaro, correndo a