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— Ah, povero il mio Giacomo! — sclamò il Sangonetto, notando il pallore che di repente invadeva la fronte e le guancie del Bardineto. — Egli è morto!
— Eh, non tanta fretta a cantargli il deprofundis! — gridò il Picchiasodo. — Scusate, veh, messere dell’archibugio; io penso che voi non ne abbiate mai visto, de’ morti.
— Sono stato alla guerra anch’io; — rispose il Sangonetto, mettendosi in gota contegna; — e la mia parte....
— Sia pure; — interruppe il Picchiasodo; — voi dunque capirete che, per sincerarsi della morte di un uomo, bisogna dargli la prova. Ohè, mastro Bernardo, qua il vino!
— Eccolo, messere!, — disse l’oste, raccattando sollecitamente il fiasco e un bicchiere da terra.
Il Picchiasodo prese il fiasco, e versò gravemente nel bicchiere quattro dita di malvasia.
— Da bravo, a voi; — disse poscia al Sangonetto, che sorreggeva il ferito; — sollevatelo un pochino, e mettetegli la mano sulla ferita, che non versi altro sangue; mastro Bernardo porterà un pannilino inzuppato d’acqua, d’aceto, di quel diavolo che vorrà. —
L’ostiere corse dentro ad eseguire il comando. Intanto il Sangonetto rialzava tra le sue braccia l’amico, e guardava stupefatto il Picchiasodo, non intendendo che diamine volesse egli fare di quel vino.
Il vecchio soldato lo levò subito di pena. Accostato il bicchiere alla faccia del Bardineto, gli messe l’orlo tra i denti e gliene fece andar giù una sorsata.
— Guardate; questa è la prova del vino. La scuola antica porta così. Ippocrate, capitolo quarto! Se il morto beve, gli è segno che vive. —