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pulito l’interno. Mi arrisico dentro, e vedo due sale abbastanza capaci: mobili pochi e lucenti. È il fatto nostro. Il padrone e la padrona, giovani ancora, hanno aria di gente per bene; non avvezze per altro a ricevere tanta gente in un tratto.
— Il nome della eterna città vuole che diamo la preferenza al suo albergo, padrona; ma non vorrà mica essere eterno il cuoco? Siamo quindici; c’è chi porta appetito e chi fame. C’è modo d’intenderci? —
Questo breve discorso strappa ai due coniugi un risolino di buon augurio.
— Se si contentano... — attacca il padrone.
— Pensando che non siamo in una città... — sottentra a cànone la padrona.
In breve siamo d’accordo; e ci apparecchiano la gran tavola della seconda stanza, le cui finestre non guardano sulla strada, nè bevono il suo polverìo, ma ci aprono la veduta ampia dei monti, d’una valle pittoresca e di un fiume; il quale, a differenza del suo collega di Corsenna, è presente, disteso nel suo letto, ed occupandone una parte no-