Pagina:Barrili - Galatea, Milano, Treves, 1896.djvu/302

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Mi avvio, tagliando il monte a mezza costiera, e via via risalendo fino ad afferrarne la vetta, donde mi faccio a guardare d’ogni banda, e a porger l’orecchio. Nessun rumore; il luogo è deserto; deserte le valli all’intorno. Fo il giro del santuario, non aspirando a guadagnare nessuna indulgenza, e non vedo anima nata. È stato dunque un vano presentimento il mio? Scendo, un po’ avvilito, giù dalla ripa alta, in mezzo al bosco dei castagni; e di là, fatti un cento di passi, sento un cane che abbaia. Ma è Buci, quello; oh caro Buci! vien qua, Bucino dell’anima mia! Il cane non sente la forza della mia giaculatoria, forse per non essere al vento, mentre io sento benissimo i suoi latrati lontani. Egli abbaia al rumore di qualche sasso in cui ho inciampato io, facendolo ruzzolare dall’alto; abbaia come un cane che sa l’obbligo suo, e conosce il prezzo del tesoro affidato alla sua vigilanza. Scendo ancora un centinaio di passi, e lo vedo finalmente, ritto e fermo sulle quattro zampe, col muso in alto e la gola spalancata. Mi vede ancor egli, mi riconosce,