Pagina:Barrili - I rossi e i neri Vol.1, Milano, Treves, 1906.djvu/218

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I Torre Vivaldi facevano splendidamente ogni cosa, e tra l’altre belle novità della festa si notava quella della musica, parte composta di suonatori e parte di coristi, i quali alternavano i canti e i suoni, siccome si usa in certe eleganti feste da ballo d’altri paesi. Un Waltzer di Strauss, così suonato a vicenda e cantato, faceva ricorrer la mente alla strofe, all’antistrofe e all’epodo dell’inno greco, producendo effetti mirabili di voluttuosa dolcezza e di gagliardia turbinosa.

La marchesa Ginevra non aveva ancora danzato. Già parecchi nomi erano scritti sul taccuino dalle carte gemmate, che raffiguravano le ali d’una farfalla, e che aprendosi lasciavano scorgere i fogli sottili di avorio, disposti a ventaglio dintorno al lepidòttero, la cui testolina, formata da uno smeraldo, era la capocchia di una elegante matita.

Ma ad ogni nuovo nome scritto, il taccuino ricadeva penzoloni dalla sua catenella, e la marchesa Ginevra non si muoveva ancora dal primo salotto, accanto alla sala d’ingresso, dov’ella stava a ricevere i suoi invitati, da vera padrona di casa che sa il debito suo.

Qualche dama meno vogliosa di ballare stava a tenerle compagnia, e non mancavano i satelliti del genere maschile, tra i quali ci par degno di una menzione particolare un vecchio mastodonte, il nobile signor Demetrio Salvi o De’ Salvi, siccome egli si faceva chiamare.

Chi non ha conosciuto il De’ Salvi, quello stecchito personaggio, il quale visitava almeno trenta palchetti ogni sera al teatro Carlo Felice? la cui voce di basso profondo infreddato si faceva udire e zittire dalla platea, allorquando infastidiva le povere signore, raccontando a questa e a quella la cronaca quotidiana di tutte le altre, gazzetta ambulante scritta a caratteri gotici su di una vecchia cartapecora?

Costui aveva tenuto un ufficio importante nella Intendenza (oggi bisogna dir Prefettura); ma da alcuni anni era messo a riposo; laonde ci aveva tempo da spendere, e con le sue visite eterne non lasciava riposare nessuno. I capi ameni gli davano settant’anni suonati, ma egli non voleva dimostrarne neppure cinquanta, e prestava con mirabile assiduità i suoi servigi alla milizia cittadina, lasciando di tratto in tratto trapelare un po’ di amarezza contro il Consiglio di ricognizione, che non voleva farlo cancellare dall’albo dei militi.

Credeva di avere la scienza infusa, e parlava a diritto e a rovescio d’arti liberali, di politica, di araldica, e d’ogni altra cosa che venisse in discorso. Diceva roba da chiodi della