Pagina:Barrili - Il prato maledetto, Treves, 1896.djvu/306

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servi oltre ogni suo desiderio; come senza danno della mia sposa dolcissima, a cui son destinate tutte le gemme che vedi. —

I donzelli si avanzarono, ad un cenno di Legio, e deposero ai piedi di Getruda le coppe d’oro e d’argento, gli stipi d’ebano, incrostati d’avorio, le custodie di cristallo e di madreperla, in cui brillavano le gemme, i vezzi, i monili offerti da Costantino Macèdone alla sposa.

In mezzo a tanto luccichio, il diamante Efiraz mandava raggi che abbarbagliavano la vista.

— Vedi, Ingetruda, questa montagna di luce? — disse Legio, o Costantino che s’avesse a chiamarlo. — Sarà il fermaglio per il tuo manto di sposa. —

Getruda guardò il donatore, e mise un sospiro; accettò dalle mani di lui il diamante Efiraz, e socchiuse gli occhi, nell’atto di accostarselo al seno.

Ma il conte Anselmo non poteva acconciarsi così facilmente alla vittoria del potente rivale.

— Tutto ciò mi sa di strano; — diss’egli. — Io non intendo... non intendo come e perchè