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— Suvvia, che cos’ha? che cosa ho detto io di male?
— Oh, gli è doloroso, signora, ciò che Ella dice, e più doloroso ancora ciò che fa pensare altrui. Perchè dispregia la vita? La vita è triste, ma è santa del pari, come tutte le tristi cose. V’hanno dolori da temprare, lagrime da tergere, adorazioni da innalzare, splendori da scorgere, e ci lasceremmo intristire nello sconforto? Il mondo, o signora, ha pure le sue gioie severe, le sue consolazioni profonde, che francano la spesa di vivere.
— Lo credo anch’io, signor Laurenti; Ella, come uomo, ha potuto trovarle, e nella sua operosa gioventù saprà prepararsi il conforto della età matura. Ma che faremmo noi donne, noi deboli, noi diseredate di questo gran patrimonio dell’umana attività?
— C’è apparenza, non sostanza di verità, in ciò che Ella dice. Io le concederò che la donna, o per natura sua, o per diversità di educazione, ma sempre per tirannia di consuetudine, non apparisca chiamata a partecipare ai gaudii multiformi della operosità umana. Ma, dicendole tirannia di consuetudine, ho detto ogni cosa.