Pagina:Barrili - La figlia del re, Treves, 1912.djvu/125

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La cosa s’intendeva per Virginio, nello stato d’animo in cui era. Quanto al signor Demetrio, egli non era uomo che l’aspetto della natura potesse mai rallegrare. Ci sono dei cervelli che non hanno il senso del colore, ed altri che non hanno quello del disegno, come altri a cui manca la virtù di distinguer gli odori, o quella di gustare i suoni, o quella di comparare, di astrarre, di filosofare, e simili. E più numerosi, in un mondo che è pur così bello (tranne sempre la umanità, ci s’intende) son quelli che non amano il verde dei campi e l’azzurro dei cieli, che non gustano e non capiscono le bellezze della natura. Il signor Demetrio era proprio di questi; andava sempre terra terra, intento alla piccola cerchia del suo vivere, non guardando mai più in là, nè più in su. Così un buon coleottero, avvezzo a misurare, fiutandola, l’umile superficie del prato che lo ha visto nascere, si contenta di rompere le costumanze con un piccolo volo, cavando le alucce sottili di sotto il geloso coperchio delle tarde sue èlitre; poi, fatto quel grosso miracolo, ritorna felicissimo a terra, portando più volentieri sulle gambe lunghe e sottili la sua pigra scatola di color tabacco, ragionando a colpi d’antenna con tutti i fili d’erba che incontra per via, incespicando su tutti gli stecchi, che gli paiono travi, cascando qualche volta, ma se Dio vuole, da mezzo centimetro d’altezza, senza pericolo di farsi male. Ha dolori profondi, il buon coleottero? E quando li ha, come si regola? Bisognerebbe saperlo; i naturalisti non ce l’hanno ancor detto; attendiamo i responsi.

Quella sera il signor Demetrio andò a letto più presto del solito. Virginio ebbe tregua, finalmente, e si ritirò nel silenzio della sua camera, dove prese a ripassare per la millesima volta i quinterni della bambina cara, della scolarina bella, esercizi di calligrafia, di aritmetica, frammezzati da fiori strani, da uccellini non mai più visti, omettini e donnette da far morir dalle risa. Ma non rideva più allora, il povero Virginio, il primo maestro di Fulvia Bertòla. Gli veniva per