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sorriso. — Ma son cose che restano sempre stampate nell’anima, quando rispondono ai nostri sentimenti più intimi. Del resto, ritorno a dirvelo; niente potrebbe mutare la condizione mia rispetto a voi, che mi avete accolto orfano e povero, che mi avete nutrito, che mi avete educato, per darmi poi tutta la vostra confidenza, per essenni amico, fratello e padre. —

Qui sospirò anche il signor Demetrio Bertòla.

— Ahi — esclamò egli, dopo aver sospirato. — Così fossi diventato davvero un padre per te! Ma il destino non l'ha voluto; o non l’ha voluto il diavolo, che soffia le ambizioni in testa alle donne. —

Virginio si turbò forte all’accenno; ma non disse parola in risposta.

Pure, il desiderio di parlare lo aveva. Che cosa dite, signor Demetrio? Era dunque vero? Voi avevate messo avanti il mio nome? E la signorina Fulvia non ha voluto saperne? Sono stato ricusato da lei? Perchè non dirle almeno che io non vi avevo dato facoltà di parlare per me? Queste erano su per giù le domande che avrebbe voluto fare: ma non si sentì la forza di farle: quell’accenno all’ambizione di Fulvia, gittate là con un senso di amarezza, gli era passato davanti agli occhi come un lampo, illuminando molto spazio davanti a lui prima di spegnersi. Capì allora, o credette di capire, che il signor Demetrio lo aveva tradito. E rimase male, per tutto quel giorno, assai male. Più tardi volle ritornarci su col pensiero, ricordar le parole, pesarle, dubitare di ciò che a tutta prima gli lasciavano credere. Infatti, non poteva egli trattarsi di un’opinione del signor Demetrio? L’ambizione, senza dubbio, aveva travolto il giudizio di Fulvia: ma c’era forse bisogno di supporre che ella avesse scelto tra il conte Spilamberti e Virginio Lorini? Non bastava, per giustificare quella sentenza del signor Demetrio, non bastava ch’ella si fosse mostrata desiderosa di concedere la sua mano al conte Attilio, senza che il nome di Virginio fosse stato mai

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