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— Che cosa? — brontolò il signor Demetrio voltandosi, e ficcandogli addosso i suoi occhi di basilisco.
— Il permesso di andar fuori.... fino a Parma, per cose mie. Ho certe spesucce da fare. Sarei di ritorno domani.
— Va, ci guadagnerò di restare una giornata tranquillo; — ruggì il signor Demetrio, ripigliando le sue giravolte per la stanza.
— Grazie; — mormorò Virginio. — Ma almeno vi prego, siate tranquillo davvero; e non vi fate scorgere alterato dai giovani di negozio. Son brava gente; — soggiunse egli, rispondendo ad una spallata sdegnosa del suo principale, — e non n’avrebbero che dispiacere; ma potrebbero lasciarsi sfuggire qualche parola, e far ridere degli altri, a Mercurano. —
Lasciata questa piccola raccomandazione, e certo che avrebbe fatto il suo effetto, insinuandosi chetamente nell’animo del signor Demetrio, come fa una piccola goccia d’olio che a poco a poco si dilata e fa una gran macchia nel panno su cui è caduta, Virginio non pose tempo in mezzo; fece attaccare il calesse e si avviò alla stazione. Non doveva aver niente da fare a Parma, poichè prese un biglietto per Modena. E non erano certamente spesucce che lo chiamassero colà, poichè, appena arrivato all’ombra della Ghirlandina, andò a cercare un notaio. Segno di atavismo, avrebbero detto i burloni d’una certa scuola scientifica; non era figlio di notaio anche lui?
E amico di notai, si potrebbe soggiungere. Quello che Virginio andava a cercare era di fatti un amico, che aveva conosciuto a Mercurano, e di cui si ricordava in buon punto. Tanto è vero che tutto viene in taglio, uomini e cose, a suo tempo.
Il notaio era savio e stagionato; sapeva molte cose, e, le faccende del conte Spilamberti, quantunque non fosse suo cliente, le aveva sulla punta delle dita. Poteva dunque parlarne, amava anzi parlarne, non foss’altro per isfogarsi un tantino, essendo stato qualche volta a Mercurano e aven-