Pagina:Barrili - La figlia del re, Treves, 1912.djvu/203

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A San Cesario ci saranno i contadini per darci una mano; ed io basterò a tutto, non avendo da vergognarmi di nulla. Come ricorderò bene gli studi incominciati con Lei, per esser io l’unica maestra dei miei poveri e cari bambini!

«Finisco, essendo alla fine del foglio. Mi rimane il posto di dirle un grazie, e per offrirle, se non la ricusa, una mano amica, che è felice di ritornare a quella firma che un tempo soleva farle con tanto piacere, da quel benedetto collegio di Lodi

«la sua obbedientissima

«Fulvia.»

Quel foglio, letto e riletto da capo a fondo più volte, ebbe virtù di tenere Virginio in estasi per un’ora. E più sarebbe stato egli a rileggere, a meditare, a commuoversi, se una voce interiore non lo avesse avvertito che quello non era tempo di stare in contemplazione. Guardò l'orologio; aveva due ore davanti a sè, per rispondere, far attaccare, correre alla stazione, e prendere il treno delle dodici e mezzo.

Il medico era venuto, aveva visitato il signor Bertòla e lo dava risanato oramai, solo che stesse un po’ riguardato e non volesse farsi andare un’altra volta il sangue alla testa. Virginio aveva scritto frattanto una lettera breve breve, segnandola col bollo della casa, e se la riponeva in tasca, per fidarla egli stesso alla buca dell’ambulante, nel treno che doveva portar lui fino a Parma. Non andò per altro a congedarsi col vecchio.

— Se il signor Demetrio domanda di me, — diss’egli a Manetta, — ditegli che sono andato fino a Bercignasco, per affari miei; ritornerò questa sera. —

E partì. Un’ora dopo, era a Parma e a quella sede della Banca Nazionale. Teneva colà in deposito la sua rendita e tutto ciò che gli aveva lasciato di contanti il suo amatissimo zio. Ah, come si sentiva felice di esser ricco, e come ne era riconoscente a quel caro avaraccio! Poteva