Pagina:Barrili - La figlia del re, Treves, 1912.djvu/247

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Il signor Demetrio udì quel breve dialogo, e intese che quello era un resto di vecchia ruggine tra loro.

— Ehi, dico: — gridò; — che cos’è questo litigio?

— Niente litigio; — rispose Virginio; — solamente una giustificazione necessaria, dopo la quale ritorneremo amici.... come prima. Non le pare? — soggiunse, volgendosi al conte Spilamberti.

Aveva l’aria di dirgli: eravamo tali così poco, che non si farà molta fatica davvero.

Il conte la intese per quel verso, ed assentì del capo, mentre sotto i baffi si mordeva un pochino le labbra.

— Ed ora a voi la chiavi della cassa, signor Demetrio; — rispose Virginio. — Se mai vi occorreranno schiarimenti, un biglietto a Bercignasco, e sarò sempre ai vostri ordini. Qui niente manca; tutto è in ordine, mi pare.

— Non tutto; — brontolò il signor Demetrio.

— Non tutto, voi dite?

— Lascia correre; non ho parlato per te, ho parlato per me. Aspetta, piuttosto. —

Così dicendo, il signor Demetrio andò alla scrivania; prese un foglio di carta bollata e ci mise dentro questi pochi versi di suo:

«Mi riconosco debitore all’amico Virginio Lorini di Lire Sessantamila, ch’egli ha pagate per me, e che io gli restituirò dentro l’anno.»

Ciò scritto, il signor Demetrio v’aggiunse la data e la firma, e passò il foglio a Virginio Lorini.

— Per la morte, come per la vita; — gli disse; — e poichè tu non vorresti oggi obbligarmi a vendere tremila cinquecento lire di rendita....

— Che è? che dite voi mai? — gridò Virginio, il quale aveva bensì presa la carta dalle mani del vecchio, ma non ancora aveva posti gli occhi allo scritto. — Io non v’intendo. Oh, fate il piacere! — soggiunse, guardando allora la carta e riconoscendo una obbligazione. — Fra il signor Demetrio Bertòla e Virginio Lorini c’è la paro-