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signorina, — e la contessa Fulvia premeva molto sul vocabolo cerimonioso, — ho buono in mano per far peggio. E rigraziate Iddio misericordioso che io mi contenti di questa lezione. —

Maddalena non osò più rifiatare. Mordendosi le labbra, abbassando gli occhi gonfi di lagrime, spiccò il suo scialletto dalla gruccia alla parete, e se lo gittò sulle spalle; si girò la veletta di trina nera intorno alla crocchia voluminosa dei suoi capelli biondi, e senza neanche voltarsi dietro a salutare, infilò l’uscio della bottega.

— Ed ora mi dirai.... — incominciò il signor Demetrio.

— Sì, ti dirò tutto; — rispose Fulvia. — Ma non ora; son troppo agitata.

— Eh, vedo bene, vedo bene, figliuola. Già, capisco che deve aver fatta un’azionaccia. Ma se lo dicevo io, a quello sciocco di Virginio, quando mi voleva persuadere a riprenderla! Cavolo riscaldato e servizio ripreso non fu mai buono.

XVII.

Il conte Attilio era uscito di casa, nè si poteva credere che volesse ritornar così presto. Rimasta sola nelle sue stanze col babbo, la bella Fulvia sentì venir meno la fierezza del carattere che fino allora l'aveva sostenuta; s’intenerì, pianse, pianse lungamente, a caldissime lagrime. Il signor Demetrio non aveva parole per consolarla; e non poteva ritrovarne, ignorando ancora come, perchè, e fino a qual punto si sentisse offesa la sua cara figliuola. Nè ancora la sventurata donna aveva smesso di piangere, quando si udirono dalla scala le voci dei bambini che ritornavano dalla passeggiata con le loro donne di servizio. Quegli innocenti non dovevano veder lagrime negli occhi della mamma: e la mamma corse a rifugio nella sua camera, donde ritornò poco do-

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