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ga! Giuro a Dio, che te lo agguanto per la gola, fosse pure a chiacchiera con san Pietro benedetto, o sotto la guardia di san Demetrio, mio venerato patrono. Che fare intanto? che fare? Me lo dici tu, che sai tante cose, figliuola?
— Una cosa; — disse Fulvia; — chiamare il signor Lorini.
— Virginio! — esclamò il signor Demetrio. — E credi?...
— Credo che nel tuo caso, se non vuoi ammalarti davvero, non ci sia altro da fare.
— Eh, questo lo intendo ancor io. Sarebbe la man di Dio, quel benedetto ragazzo. Ma vorrà egli ritornare? Sai che non si è fatto più vivo?
— Ma ti aveva pur detto che in ogni occasione, un tuo biglietto a Bercignasco....
— Sì, sì, un biglietto, «sol due righe di biglietto» — interruppe il signor Demetrio. — Ma quello era un discorso per cavarsela, un complimento, come quelli che si mettono in fondo alle lettere, non pensando affatto di essere i devotissimi servitori di nessuno. Se gli scrivo il biglietto, mostrando di far capitale su lui, mi manda a quel paese senz’altro. Ed ha ragione; oh, se ha ragione! L’ho trattato così male, povero diavolo! Cioè, intendiamoci, povero un corno! Avevo un segretario ricco, straricco, che mi aveva servito fedelmente vent’anni; che non aveva bisogno di lavorar d’unghia; che all'occorrenza, l’hai visto, ne metteva fuori di tasca sua; e proprio quello ho lasciato andar via, aiutando il tuo conte, col mio silenzio, con la mia condiscendenza, a dargli il gambetto. Ma come potevo far io, per tutti i settemila, così tra il martello e l’incudine? Non dovevo neanche immaginare che le cose girassero come sono girate. Di tutte le belle qualità del tuo conte, l’unica che io non potevo immaginare era questa, che egli fosse un disonesto ed un ladro. Prodigo, sciupone, fannullone, passi; ingrato, orgoglioso, arrogante, passi ancora; donnaiuolo di prima riga, marito niente esemplare, gran cacciatore alla macchia e allo scoperto, l’avevi a passar tu, ed io potevo cre-