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sicella, amando farsi passare per lui. Ci sono spiriti baioni e cattivi, nel mondo di là, puri ed impuri, serii e faceti; come nel mondo di qua, nè più nè meno: e quando nella tavoletta, scambio del puro spirito invocato, ve ne capita uno di quei tali che lavorano ad ingannarvi, c’è proprio da guastarcisi il sangue.

Questo, per l’appunto, era stato il caso mio coll’apocrifo Dante. Ed io mi adattai alla spiegazione che lì per lì me n’era stata fornita dai pratici; me ne persuasi facilmente, tra perchè a far diverso avrei mancato alle buone creanze, e perchè sarei passato per più scettico che veramente non fossi, o non avessi il diritto di essere. Amai piuttosto lasciare quelle esercitazioni spiritiche, le quali finalmente mi turbavano un poco. E del resto, a che pro’ le avrei continuate? A trattare con ispiriti cattivi, impuri e burloni, non c’è niente più sugo che a barattar discorsi con troppi dei nostri amati contemporanei. Godiamoci questi, coi quali è viaggio obbligato: a conversare cogli spiriti eletti ci sarà sempre tempo; anzi, ne avremo tanto, da rifarci ad usura dei pochi lustri perduti «in hac lacry....» Ma no, vediamo di meritare il perdono, schivando per una volta tanto il peccato; e in povera lingua italiana raccontiamo il caso, per cui s’invocano le circostanze attenuanti.

Il nostro evocatore di spiriti era un capitano in ritiro, brav’uomo, digiuno di studi, anzi diciamo pure incolto in ogni disciplina,