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stretti a ricambiare la cortesia a tante migliaia e centinaia di migliaia. Nè più potevano bastare all’ufficio gl’impiegati in pianta, nè i centomila straordinarii addetti ad ogni ministero. Peggio ancora, non era sempre possibile ricambiare il cartoncino, non essendo chiaro nel timbro postale il nome del paese donde veniva l’augurio.

L’imperatore ascoltò, poi diede fuori un editto:

«Ben presto il filugello, onore della nostra dinastia, non basterá più a dar cascami, nè il bambù a dar fiori, quanto basta alla fabbricazione della carta. Similmente, non daranno tanto midollo le piante dell’ho-hiang e del kang-sung, nè tanta corteccia l’arbusto sciuhia-tsaoko, nè tanto succo lo zenzero, quanto basti alla distillazione dell’inchiostro, Popolo avvisato, mezzo salvato. D’ordine dell’imperatore si smetta l’usanza dei biglietti di visita.»

Un grido d’angoscia si levò da tutte le quindici provincie dell’Impero di mezzo.

— Figlio del cielo, — gridarono i mercanti di carta, — tu rovini con un editto la più fiorente tra le industrie cinesi. —

Ma l’imperatore non diè retta alle lagnanze dei mercanti di carta. Khi-hoang-ti pensava al bene del popolo, e non isfuggiva alla sua perspicacia che la salute del popolo è legge suprema di un impero ben costituito. Del resto, una industria nata il giorno innanzi po-