Pagina:Bartoli - Dell'uomo di lettere I.djvu/17

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d’uomini la natura, ad impuzzolir l’aria al fetor de’ putrefatti uccisi, e anche ora pigri i fiumi, ora vermiglio il mare, per gran copia di cadaveri, per gran piena di sangue umano?

Udite maraviglie incredibili dell’umana forsennatezza. I vastissimi nostri desiderj si perdono in un punto. Che dissi in un punto? In una menoma particella d’un punto. Che altro farebbono le Formiche, se avesser discorso? Non ripartirebbono ancor’esse un palmo di terra in molte Provincie? Non pianterebbono i loro termini ostinati sì che non cedessero né ancor a Giove, quantumque fulminante? Non fonderebbono in un’aja un Regno in un piccol campetto un gran Monarchia? Un ruscelletto d’acqua sarebbe per esse un Nilo, una fossa la chiamerebbono un’Oceano, una piccola pietra una gran rupe, un podere non sarebbe meno d’un Mondo. Alzerebbono baluardi e cortine per mettere in fortezza gli Stati; raccorebbono esrciti alla speranza di nuove conquiste alla disputa di vecchie differenze: e si vedrebbono in due piè di terreno marciare in ordinanza a bandiere spiegate squadroni di nere Formiche; incontrarsi con ardire, urtarsi, rompersi, e andarne altre, vinta la campagna, vittoriose, altre o rendersi a patti, o fuggitive nasconderesi, o morte in battaglia rimanere allo spoglio delle nemiche. Una simil guerra fra venti mila o più Formiche, fatta per disputare le pretenzioni d’un palmo di terra, solo a ripensarlo ci muove le risa. E noi, che altro facciamo, ripartendo un punto in tanti Regni, e distruggendoci per allargarli? sieno le confini della Dacia l’Istro, della Tracia lo Strimone, della Germania il Reno. Giungano i Parti fino all’Eufrate, i Sarmati fino al Danubio. I Pirenei la Francia e la Spagna, l’Alpi l’Italia dividano. Formicarum iste discursus est in angusto laborantium.

Voi distinguete i Regni, e a sì gran lite
Segnate loro i termini e le mete,
E con ciò stolti sete;
Ché per troppo volere impoverite.
Tutto il mondo è d’ognuno; e chi ne cerca
Per sè sol’una parte,