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Pagina:Bartoli - Dell'uomo di lettere II.djvu/124

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124 dell’uomo di lettere

preda: se si traveste la Sapienza con finti si ma acconci ritrovamenti, che, a guisa di vestimenta rassettate attorno, e cuoprano e mostrino ciò che nè celar si vuole nè publicar si dee; costume, che Sinesio1 chiama perantiquum atque Platonicum: se si fa tal volta esente la penna dal disegnar per minuto ogni cosa alla stesa, e alcune se ne mettono in iscorcio, sì che e tutte si veggano e non occupin luogo: se si compone sì come dipingeva Timante, in cujus omnibus operibus, disse Plinio2, intelligitur semper plus quam pingitur; et cum ars summa sit, ingenium tamen ultra artem est: condannano d’oscurità, e dicono con Tertulliano, che per intendere e penetrar tali cose non lucernæ spiculo lumine, sed totius Solis lancea opus est. E non s’avveggono, che non i componimenti hanno bisogno di luce, ma gli occhi loro di collirio; poichè sono come di quella scimunita Arpaste di Seneca3, che divenuta quasi repente cieca, non dubitando se essere come prima veggente, ajebat domum tenebrosam esse.

Ma perchè per rimedio di quella oscurità, ch’è capace d’ammenda, non può darsi avviso più importante della Distinzione e dell’Ordine, che sono padre e madre della Chiarezza; hollo io fatto nelle particelle seguenti: benchè con traboccamento della penna forse troppo abbondante, in riguardo di quel solo che questa materia richiedeva.

Non però fuor di proposito, nè senza utile: essendomi riuscito disporre alcuni avvisi, che dalla scelta dell’argomento sino all’ultima correzione mi son paruti giovevoli a più ordinatamente, più facilmente, e più felicemente comporre.

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  1. L. de insomnis.
  2. Lib. 35, c. 10.
  3. Seneca, epist. 50.