Pagina:Bartoli - Dell'uomo di lettere II.djvu/127

Da Wikisource.

l’ ampio, con inpiccolire il grande, con ritardare il veloce, con abbassare il sublime fra le angustie d’ un globo, seppe comprenderlo senza confonderlo: e dando la libertà a’ pianeti, l’ ordine alle stelle, la varietà a’ moti, la proporzione a gli spazi, sì aggiustatamente il tutto dispose, che se mai si fossero sconcertati i periodi del Cielo grande, s’ avrebbero potuto correggere con que’ del piccolo d’ Archimede. Ma un sì nobile lavorio, per cui vile materia sarebbero stati i zaffiri e i diamanti, non si formò egli di vetro? Con la fragilità d’ un vetro manchevole egli imitò l’ eternità dell’ incorruttibile sustanza de’ Cieli: né scemò di pregio l’ opera per essere la materia si poco pregevole. Quel gran cristallo di rocca, di cui il Mercatore formò all’ Imperadore Carlo quinto un globo celeste, incassando dentro cerchietti d’ oro finissimi diamanti in vece di stelle, e facendolo con quest’ arte, come quell’ altro la sua Elena, se non bella, almeno ricca, appena ha trovato memoria non che lode nel mondo. Tanto più vili del vetro d’ Archimede furono i diamanti del Mercatore, quanto fu in esso più ingegnosa l’ arte e più maestevole il lavorio.

Anzi la più bella parte d’ un discorso è la bellezza del l’ argomento: e chi lavora di cervello sa per pruova, che il suggetto ingegnoso aguzza mirabilmente l’ ingegno, e are quasi che la materia nobile somministri da sé pensieri degni di sé, ambiziosa d’ esser nobilmente trattata. Crescit enim (disse Materno nel dialogo di Tacito, o più tosto di Quintiliano) cum amplitudine rerum vis ingenii;