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Pagina:Bartoli - Dell'uomo di lettere II.djvu/135

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parte seconda 135

questo, nello spuntare sul nostro emisfero, torbido e vaporoso, obliquo, debile, e tremante, che dall’Orizzonte (come chi a stento s’aggrappa per iscoscesa pendice) a poco a poco fino alle cime del cielo sormonta. Non sovvien loro, che uomo non s’è prima d’esser bambino, ně abile al corso prima d’essere ito carponi per terra, portando su le mal ferme gambe e su le tenere braccia la vita vacillante e cadente ad ogni passo: nè spedito di favella, prima d’avere avuto in bocca il silenzio, poscia i vagiti, indi una lingua scilinguata e balbettante, con voci dimezzate e storpie, sino a scolpire con fatica babbo e mamma; e questo, prendendo di bocca altrui ad una ad una le sillabe e le voci, e rendendone, come l’eco, i pezzi, più imitando l’altrui favella che favellando.

I grandi uomini non si fanno di getto, come le statue di bronzo, che in un momento bell’e intere si formano; anzi si lavorano come i marmi a punta di scarpello e a poco a poco. Gli Apelli, i Zeusi, i Parrasj, que’ gram maestri del disegno, alle cui pitture non si potea dire che mancasse l’anima per parer vive, perchè sapevano parer vive ancora senza anima, quando cominciarono a maneggiare i pennelli e stendere i colori, credete voi che non dessero a cinquanta per cento le botte false, e che i loro lavori non avessero di bisogno che vi si scrivesse al piè, di cui fossero quelle imagini, acciochè un Lione non fosse creduto esser’un Cane? La natura istessa, che pur’è sì grande artefice, e maestra d’ogni più eccellente fattura, parve a Plinio, che inanzi d’applicarsi al lavorio de’ Gigli, opera di gran magistero, s’addestrasse con farne quasi l’abbozzamento e ’l modello ne’ Convolvi, fioretti candidi e semplici, perciò detti da lui veluti naturæ rudimentum, Lilia facere condiscentis1. Se aveste veduto il Campidoglio di Roma, e in esso il tempio di Giove, ricco delle spoglie di tutto il mondo, l’avreste voi riconosciuto per quello che una volta fu, quando

          Juppiter angusta vix totus stabat in æde,
          Inque Jovis dextra fictile fulmen erat2?

  1. Lib. 21. c. 5.
  2. Ovid. Lib. 1. Fast.