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Pagina:Bartoli - Dell'uomo di lettere II.djvu/146

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146 dell’uomo di lettere


Che direbbe oggi quel sottil Favorino, che leggendo in Virgilio colà dove descrive Encelado fulminante sotto il Mongibello, e dice,

                    Liquefactaque saxa sub auras
          Cum gemitu glomerat,

giudicò questo detto, in un Poeta, e che favellava d’un gigante, e d’un’Etna, omnium, quæ monstra dicuntur, monstrosissimum1 che direbbe, dico, se udisse: Svenar le rose su le guance, fabricare nelle ciglia archi di maraviglia al trionfo dell’altrui virtù, correre i campi dell’eternità co’passi del merito, e che so io? forme di dire usate eziandio in suggetti d’argomento familiare, e di cose che nou grandeggiano un palmo.

28.

Dove sia colpa di mal giudicio usare Stile fiorito
e troppo ingegnoso.

Ma de’Concetti, e della maniera d’usarli, giudichi ognuno conforme alle ragioni e’l gusto che ne ha. Io, se ho a dirne alcuna cosa per necessità dell’argomento, gli stimo come le gioje, e ne prendo il pregio dalla Natura e dall’Uso: sì che non sieno falsi, ma reali; e non disordinati a tuttą baldanza, ma posti a lor luogo. L’uno è ufficio dell’ingegno che ha a trovarli, e l’altro del Giudicio che dee disporli.

L’ingegno non ha a prendere cristalli per diamanti, il giudicio non ha a volerli cacciare ove non entrano, facendo come i Barbari d’Occidente, che si tagliano la pelle del volto per incassarvi dentro le gioje, senza avvedersi d’essere più deformi col taglio che belli coll’ornamento. Il volto altro ornamento non cerca, che la sua natural bellezza; e più la guasta e disforma una ancorchè sceltissima perla che gli s’incastri in una guancia, che non la nera macchia d’un neo che per natura vi nasca. Parimenti nell’arte del dire, alcune cose compajono tanto più belle, quanto più schiette; e sono a guisa de’ ritratti, ne’ quali ben giudicò

  1. A. Gell. l. 17. c. 10.