Pagina:Bartoli - Dell'uomo di lettere II.djvu/33

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s’ impronta nell’ anima il suggello de gli affetti che altri in sé fintamente esprime; né v’ è solo un’ Agostino che abbia con vere lagrime piante le finte sciagure dell’ abbandonata Didone: sono questi effetti ordinarj, che ogni giorno cagiona la poesia con le scene e co’ libri. E benché tal volta non si sappia chi invogli ad amare l’ altrui amore; s’ ama però non so che d’ incognito in altrui s’ ama come quel pazzo fanciullo delle favole, che, da un’ imagine vana veri amori prendendo,

Quid videat nescit, sed quod videt uritur illo.

Mi vergogno con Clemente Alessandrino di raccordar qui le due Veneri di Cipro e Gnido; quella d’ avorio, questa di marmo; statue morte per sé, ma per l’ altrui lascivia troppo vive. Solo v’ aggiungo l’ epifonema di questo Autore, perché della poesia s’ intenda ciò, che dell’ atto della scolpire simili statue lascivamente ignude egli disse: Tantum ars valuit ad decipiendum , quæ homines antori deditos illexit in barathrum!

L’altra difesa del compor lascivo è, che tali poesie non hanno altro di male che il parerlo. Queste esser maschere d’ allegorie, che cuoprono sensi di purissima Filosofia morale, conditi col mele di favolose invenzioni, perché più facilmente si prendano mentre riescono più gustosi. Così per antico costume le leggi in Candia s’ insegnavano a’ fanciulli non altrimenti che in musica; e una gran parte della Legge divina, fu posta da David in versi nelle poesie de’ Salmi: Ut dum sua vitate carminis mulcetur auditus (disse S. Agostino), divini sermonis pariter utilitas inferatur. Per tanto, potersi scrivere in fronte a’ loro poemi quel terzetto di Dante:

O voi che avete gl’ intelletti sani,

Mirate la dottrina, che s’ asconde

Sotto il velame delli versi strani;

e con questo i Poeti, a chi ben li mira, essere Philosophos re, nomine Poetas, qui invidiosam rem ad eam artem perduxerunt, quæ maxime populum demulceat.