Pagina:Bartoli - Dell'uomo di lettere II.djvu/42

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soavemente che non a quella della Reina di Tiro,

Coi capei lunghi e con la cetra d’oro,

Il biondo Jopa, qual Febo novello,

Canta del Ciel le meraviglie e i moti,

Che dal gran vecchio Atlante Alcide apprese;

Canta le vie, che drittamente torte

Rendon vaga la Luna e bruno il Sole;

Come prima si fer gli uomini, e i bruti;

Com’ or si fan le piogge, e i venti, e i folgori;

Canta l’ Iade, e l’ Orse, e ‘l Carro, e ‘l Corno;

E perché tanto a l’Oceano il verno

Vadan veloci i dì, tarde le notti.


A gli Scrittori d’ impudiche poesie, Parenesi.


Uditemi, o Luciferi della terra. Così dunque vi donò Dio un’ ingegno d’ alti pensieri e d’ acuto intendimento perché aveste a voltarne contro di lui ingratamente la Punta? V’ insegnò a maneggiare con lode una penna, perch’ ella vi fosse saetta per ferirlo nell’ onore? Dandovi una mente d’Angioli; vi avea a provare nimici come Demonj?

Né mi dite: non avevamo ingegno fuor che solo per questo. Dirò di voi ciò che Tertulliano degl’ Israeliti: Maluistis allium et cæpe, quam coelum fragrare. La chiarezza de’ vostri ingegni, che poteva risplendere con raggi di stella salutevole, avete voluto che sia luce di legno fracielo, nata dalla putredine e dalla corruzione. Siasi vera che foste docili solo al poetare. Ma poetar lascivamente fa egli necessità d’ingegno, o vizio di volontà? Bastava (ciò che fece Pitagora con un lascivo, sonatore di cetera) che mutaste tuono alla lira della vostra Musa; e cambiandole un Lidio molle, in un Dorio grave, in vece di svegliare negli altrui affetti movimenti di passione lasciva, glie li avreste addormentati.