Pagina:Barzini - Dal Trentino al Carso, 1917.djvu/103

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il baluardo ripreso 93


piano, ma lassù avevano trovato un folto bosco, ogni sentiero, ogni passaggio, sbarrato da reticolati, difeso da trincee. Le nostre granate incendiarie non erano riuscite ad appiccare il fuoco alla selva per snidarvi il nemico. Qualche albero bruciacchiato, un po’ di fumo e basta. L’attacco languiva. Non aveva più che un valore di minaccia. Si era sperato che questa azione laterale potesse riuscire ad isolare i difensori della vetta, ma era aspettata, trovava il nemico munito, e le difese celate dalla foresta inestricabile avevano mantenuto tutto il loro valore.

Ogni speranza era dunque riposta nell’azione frontale, in quegli uomini che agivano sul bordo di un abisso, nell’assalto sull’inaccessibile. Le ore passavano nella immobilità, e la vetta crepitava di colpi. Le mitragliatrici erano arrivate e martellavano irose, per tener fermi gli austriaci, per togliere loro ogni velleità di un contrattacco. Si stava intanto regolando il tiro delle artiglierie per battere la trincea a pochi metri dai nostri. Da lontano i colpi si venivano accostando adagio adagio, e su per i sentieruoli dirupati del Caviojo delle carovane affannate issavano lentamente una batteria di bombarde da piazzarsi ai piedi della parete del Cimone per lanciare dal basso in alto, al di sopra degli alpini, masse di esplosivo. Il bombardamento è ridivenuto intenso. Tutte le valli hanno ripreso l’urlo della notte. Ad un tratto, silenzio.