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dopo l'assalto | 107 |
diere dei loro reggimenti: vengono a dire addio
alla salma del generale che sparisce.
Sbucano dai bordi della foresta nell’angusto lembo di prateria che la strada attraversa, in fondo alla gola. Arrivando nel sole, scintillano improvvisamente le loro baionette inastate, forbite di fresco, che finiscono per formare una siepe di bagliori lungo la via polverosa.
In rango i soldati aspettano l’ultima rivista.
Non hanno avuto il tempo di rammendare gli strappi più recenti fatti dai reticolati nemici alle loro uniformi; sono venuti giù come il combattimento li ha lasciati, un po’ sdruciti, sporchi perchè non c’è acqua, con delle macchie indelebili di terra umida ai ginocchi e ai gomiti, ma impettiti, rigidi, marziali. Sono in assetto di battaglia; le giberne piene pesano sulla loro larga cintura grigia e tendono le bretelle.
Una volta schierati questi uomini non parlano, non sussurrano, non si muovono; una gravità solenne è sui loro visi barbuti, arruffati, irrozziti dalle intemperie e dalle fatiche, sui quali il largo bordo dei morioni di acciaio, ammaccati dalle pallette di shrapnell e dalle schegge, mette la sua ombra.
Hanno un’aria di altri tempi sotto quell’elmo antico, e non è possibile immaginare che cosa fosse, quale fisionomia avesse ognuno di loro nell’epoca di pace. La guerra li ha mar-