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dopo l'assalto 109


i quali la battaglia è passata, irti di abeti e di pini, folti come una smisurata e tenebrosa pelliccia. Qualche vetta rocciosa emerge dalle foreste, nuda, grigia, dominante, severa.

Fra le piante più basse, all’orlo della selva, nell’ombroso e gigantesco colonnato de’ tronchi s’intravvedono degli accampamenti: una pittoresca confusione di tende, di baracchette coperte di corteccia d’albero, di botti disposte in fila fra macigni e travi — per i depositi dell’acqua — e che fanno pensare a preparativi di straordinarie vendemmie, una folla di carrette con le stanghe in aria, in un atteggiamento di riposo, le ruote posate sul muscoloso serpeggiare delle radici, un agitarsi di cavalli e di muli allineati alla catena tra fusto e fusto, su lettiere di frasche, in mezzo a cumuli di foraggi e ammonticchiamenti di casse.

Più in alto, in qualche punto, la foresta appare diradata, schiantata, come calpestata da un piede immane, e negli spiazzi scoperti e sterrati corre il solco sinuoso di trincee sconvolte, circondate da uno sparpagliamento di tronchi abbattuti. L’ondata della battaglia ha lasciato così il segno dei suoi vortici. Sulla valle angusta il cielo è incorniciato dal frastagliamento delle cime e dei costoni, sui quali la moltitudine delle conifere irrompe in miriadi di guglie sottili ed erette, piene di slancio, che dànno a questi monti dei profili im-