Pagina:Barzini - Dal Trentino al Carso, 1917.djvu/163

Da Wikisource.

il guado dell’isonzo 153


Gorizia velata, fumigante, diafana nel tramonto, apriva le sue strade deserte nell’ombra azzurra della sera. La tempesta delle granate riprendeva a tratti sul Podgora, la cui cresta era ancora austriaca, e sul San Michele lontano un ondeggiare incessante di nubi indicava qualche tentativo nemico di contrattacco verso le cime espugnate. All'avvicinarsi della seconda notte la battaglia aveva una ripresa di violenza. Nel cielo crepuscolare gli aeroplani austriaci roteavano cercando di scoprire le nostre artiglierie dalle vampe.

Le retrovie erano ingombre di masse di prigionieri che marciavano ordinati e silenziosi nel buio, in immense colonne. Erano oscure carovane che riempivano del loro scalpiccio pesante, rombante, lugubre, la quiete solenne dei sentieri boscosi. Se non si porta un’uniforme da soldato italiano è pericoloso avvicinarli di notte in aperta campagna. Gli uomini di scorta non esitano ad afferrare l’intruso per un braccio e a scaraventarlo nel branco. Per loro chi non è un compagno non può essere che un prigioniero.

Questi austriaci, vari di età, mescolati giovani ed anziani, hanno ancora l’apparenza di gagliardi soldati. Non si scoprono in loro i segni di lunghe sofferenze. Sono quasi tutti sloveni, croati, polacchi, dalmati. Vi sono pure molti provenienti da queste stesse terre sulle