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168 a gorizia

veemenza. Andiamo senza mèta in questa lugubre solitudine piena di sole. La strada che porta al Castello diviene ad un tratto campestre, fiancheggia muri di orti, dai quali si affacciano le piante. La fucileria è vicina.

Si combatte lì sotto, al borgo San Rocco e al borgo San Pietro. Scaramucce di avanguardia. Non si vede nessuno giù per i vigneti dove la battaglia si riaccende. Degli edifici grandi e bianchi come caserme, una chiesa nuova, delle strade vuote, e intorno dei prati, dei giardini, dei filari d’alberi. Qualche pallottola arriva non si sa da dove, presso l’entrata massiccia della antica fortezza veneziana, sotto al cui arco una lapide di marmo, incisa in caratteri dorati e circondata da una corona di quercia, ricorda la morte avvenuta in quelle vicinanze, per una granata italiana durante la nostra offensiva di novembre, del comandante delle artiglierie, generale Körner.

Non più soldati, non più pattuglie, la solitudine lassù è assoluta, il borgo del Castello, oltre il portale, allinea le sue casette vecchie e nostrane, tutte a portici, in un silenzio di morte grave di spavento. Niente vive se non la battaglia invisibile e misteriosa, uno scoppiettìo che sembra là, dietro i muri, qualche ronzìo e di tanto in tanto il rombo della granata austriaca che arriva, fragoroso e suonante come un rumore di treno e che muore nello scoppio