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170 a gorizia


Ridiscendiamo nella città. Passano ora dei battaglioni, ordinati e fieri, nelle grandi vie alberate. Sono moltitudini grigie che sfilano, irte di fucili, fra le case taciturne. Nell’ombra dei filari, squadroni di cavalleria si appiedano; i cavalli coperti di polvere, assetati, sfregiano mordendo le cortecce degli alberi, dei soldati sdraiati dormono fra le zampe delle loro cavalcature. Il vento caldo del meriggio fa sventolare le banderuole delle lance riunite in fasci, che dànno un’impressione inattesa e pittoresca di antica guerra. La cavalleria torna dall’inseguimento. È lei che ha ripreso contatto col nemico e riacceso il combattimento. Ha fatto dei prigionieri.

Precedute e seguite da carabinieri a cavallo, le carovane dei prigionieri attraversano Gorizia. Qualcuno è stato preso in città. Ecco un aitante ufficiale austriaco, con la sua ordinanza, che un soldatino conduce, trovato or ora in una casa. Ce ne debbono essere ancora molti, disposti a figurare come dei buoni borghesi di Gorizia, ardenti di italianità. Dobbiamo diffidare di tutti gli uomini atti alle armi che vedremo in giro.

Sui muri biancheggiano dei manifesti ufficiali, sormontati dall’aquila bicipite. Alcuni proclamano in quattro lingue l’infamia della nostra guerra. Altri stabiliscono delle regole per